Il formaggio
Montébore

Il Montébore è un formaggio antico, tra i formaggi più rari al mondo, le cui origini si perdono nei secoli.

Prende il nome da un piccolo paese delle nostre Valli, un angolo dei colli Tortonesi ancora integro e poco abitato.

Forma di Montebore

Caratteristiche

Il Montébore viene realizzato miscelando latte crudo, per il 65% vaccino, il 30% ovino e il 5 % caprino.  La cagliata, rotta fino ad ottenere chicchi omogenei della grandezza di una nocciola, è posta nelle fuscelle, rivoltata e salata.

Estratte dallo stampo, tre forme dal diametro decrescente sono poste a stagionare, una sopra l’altra, da due settimane all’anno intero. La crosta inizialmente è liscia e umida e poi, con la stagionatura, diventa più asciutta e rugosa. Il colore va dal bianco al giallo paglierino. La pasta è liscia o leggermente occhiata, di colore bianco in varie sfumature.

Il Montébore, opportunamente stagionato, denuncia all’assaggio il sapore del latte ovino, anche se la percentuale di latte di pecora non supera mai il 30%.

Al naso, si percepiscono odori leggermente animali e un poco speziati. In bocca, all’inizio della degustazione, è tendenzialmente latteo e burroso, mentre sul finale si sente la castagna accompagnata da sfumature erbacee.

Il Montébore a tavola

È perfetto come eccellenza da tutto pasto: fresco o stagionato gode della compagnia del miele, delle confetture e della “cugnà”, la tipica marmellata piemontese a base di mosto d’uva, cui dona la piacevolezza del proprio gusto fine, delicato ma arguto.

Ama le noci, i fichi, la pesca, le ciliegie in agrodolce, l’uva rosata, scoprendo così una vocazione a tutte le stagioni della natura. Stagionato, condisce le paste ripiene, gli gnocchi, il riso con ​un’accesa armonia di sapido, di piccante senza sconsideratezza, elegante, discreto, profumato.

Non teme accostamenti azzardati, sicuro com’è della propria compostezza: con pere caramellate, peperoncino, peperoni, cipolle e rivela un’anima insolitamente ardita; ama gli sformati di zucca, cui dona robusta sapidità, di carciofi, di zucchine, di cardi.

Il recupero del Montébore

Per secoli prodotto ed esportato verso Genova e la Lombardia, se ne era persa praticamente ogni traccia. Nel 1997, attraverso il Progetto di Filiera Casearia della Comunità Montana Valli Curone, Grue,Ossona e Valli Borbera e Spinti approvato dalla Comunità Europea, si è cercato di “recuperare” l’antico prodotto.

Attraverso una accurata ricerca, il Montébore è stato letteralmente “resuscitato” grazie ad alcune anziane signore della zona di Montébore e Calvadi, le due frazioni del Comune di Dernice (AL), dove ultime depositarie della tecnica casearia tradizionale, avevano mantenuto il “sapere” dell’antica caseificazione.

Grazie alla loro esperienza e alla importante collaborazione dell’Istituto Caseario di Moretta e della Facoltà di Agraria dell’Università di Torino, si è ricostruita la tecnica casearia che ha riportato questo formaggio all’antico sapore.

La Cooperativa Agricola Vallenostra, costituita dai nostri predecessori, nel 1999 presenta il Montébore al salone “Cheese” nella sua totale produzione mondiale di sette forme che attirarono immediatamente l’attenzione della stampa specialistica proveniente da tutto il mondo.

Storia e Leggenda del Montébore, tra Leonardo e la Gioconda

Nel 1489 a Tortona, oggi in provincia di Alessandria, si tenne il banchetto per le nozze fra Isabella D’Aragona e Gian Galeazzo Sforza, nipote di Ludovico il Moro, Duca di Milano. Secondo gli ultimi studi in materia la nobile sposa era “La Gioconda”, essa posò per il famoso quadro chiamato anche “Monna Lisa”.

Cerimoniere d’eccezione del banchetto fu lo stesso Leonardo da Vinci, straordinario genio dell’arte e della scienza ma anche attento gastronomo. Il Montébore fu l’unico formaggio invitato a tanta nobile tavola.

Il Conte Botta di Tortona ospitò nel suo castello un banchetto che sembrò superare ogni altro in sfarzo e ricchezza, nessuna portata fu servita senza l’accompagnamento di attori, mimi, cantanti e ballerini con soggetti allegorici ispirati al tema mitologico-encomiastico.

La lavorazione

Il Montébore viene realizzato con latte crudo: scaldato a 36° C, viene aggiunto caglio naturale. La rottura della cagliata avviene dopo che il caglio ha coagulato il latte. In seguito, si attua una seconda rottura da cui si ottengono “grumi” piccoli (della dimensione di una nocciola).

La cagliata viene quindi posta nelle fuscelle: messa a scolare nei “ferslin”, le tipiche formelle a forma di cilindro, di diametro decrescente. Nel corso della mezz’ora successiva, le forme vengono girate 4 o 5 volte. Poi, si procede alla salatura manuale, rigorosamente con sale marino (storicamente siamo infatti sulla ” Strada del sale” ).

A questo punto, non resta che far riposare le forme per 10 ore circa in un luogo fresco e asciutto e, infine, tre forme dal diametro decrescente sono poste a stagionare, una sopra l’altra, da due settimane all’anno completo.

​”…pastori d’Arcadia, degni di attenzione prorio per il loro parlare rustico, offrirono del formaggio proveniente dalle Valli Tortonesi”

(T. Calco, Nuptiae Mediolanesium Docum sive Iannis Galeacij cum Isabella Aragona, Ferdiandi Neapolitanorum Regis nepote, in Redidua, edito in Milano 1644).

Quel 5 febbraio 1489 il formaggio delle nostre valli a “forma di torta nuziale” presenziò a quella nobile tavola in tutta la sua bontà, il formaggio di Montébore scelto per la Gioconda*.

*Ad oggi, grazie agli studi della studiosa Maike Vogt-Luerssen, un’autorità in fatto di storia dell’arte, si è documentato che la Gioconda sarebbe proprio Isabella d’Aragona, Duchessa di Milano, figlia d’Ippolita Maria Sforza, sposatasi a Tortona nel 1489 durante quel banchetto, dove fu servito il Montébore.

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